SOMMARIO: Introduzione. I. La clausola edittale riportata da Ulp. 4 ad ed. D. 4.9.1pr. II. La formula dell'actio de recepto e la possibile presenza di una clausola restitutoria. Conclusioni. Riferimenti.
Introduzione
Nel diritto romano un ruolo molto importante per la tutela dei clienti nei rapporti commerciali con i nautae, caupones e stabularti è svolto dal pretore e, in particolare, dagli 'speciali'1 rimedi processuali da lui introdotti: l’ actio de recepto, l’ actio furti in factum e l’ actio damni in factum adversus nautas, caupones, stabularios.
L'esame dei verba edittali e delle formule dei rimedi contro questi imprenditori (exercitores2) marittimi e terrestri permette di cogliere l'entità dell'intervento pretorio nell'individuazione di una responsabilità ex recepto e più in generale nell'allocazione del rischio in queste attività commerciali. La dottrina3 ritiene prevalentemente che l'intervento del pretore abbia inciso, aggravandola, sulla responsabilità dell'imprenditore, il quale avrebbe visto affiancarsi alla responsabilità nascente dal contratto sottostante, che comunque regolamentava il rapporto, una diversa responsabilità, di origine pretoria, per la mancata restituzione, il furto o il danneggiamento di quanto ricevuto e/o portato sulla nave, nella locanda o nella stazione di cambio dai clienti. L'innovazione del pretore è poi arricchita dall' interpretatio prudentium4.
In questo contributo mi soffermerò in particolare sul ruolo del pretore e sul suo possibile ricorso, nel promettere l' actio de recepto, alla tecnicità processuale della clausola restitutoria, che egli avrebbe potuto utilizzare, a vantaggio dell'attore, per rendere più probabile5 la restitutio della res consegnata in custodia e, allo stesso tempo, per bilanciare l'aggravamento della responsabilità degli imprenditori marittimi e terrestri risultante dall' actio de recepto, con l'estensione della possibilità di restituere - e quindi di evitare la condanna - ad un momento successivo alla litis contestatio.
A. I verba edicti e la possibilità che promettessero un'azione arbitraria
Ulpiano, nel libro quattordicesimo del suo commento all'editto, riporta la clausola edittale con la quale il pretore prometteva la concessione di un'azione (detta actio de recepto) contro gli armatori, i locandieri e i titolari di una stazione di cambio6 che non restituivano quello che, di chiunque fosse, avessero ricevuto affinché fosse salvaguardato:
D. 4.9.1pr. Ulp. 14 ad ed. Ait praetor: "Nautae caupones stabularii quod cuisque salvum fore receperint nisi restituent, in eos iudicium dabo".
L'introduzione di questa promessa è, probabilmente, da ricondurre al II sec. a.C.7. L'attenzione del pretore è su soggetti specificamente individuati, prima i nautae e, forse, solo in un secondo momento i caupones e gli stabularii8, e sul presupposto della concessione contro di loro dell'azione: aver ricevuto qualcosa, di chiunque fosse, affinché fosse salvaguardato (qquod cuiusque salvum fore receperin9) e non averlo restituito. L'attenzione del titolare della iurisdictio sulla restitutio è dunque molto alta, e ciò è confermato dagli ulteriori rimedi da lui previsti contro tali imprenditori marittimi e terrestri volti a sanzionare la mancata riconsegna a causa di furto o la non riconsegna della res integra a causa del danneggiamento subito dalla stessa.
Nei rapporti commerciali con i nautae, caupones e stabularii si ha un receptum10 - un patto pretorio - quando essi si impegnano a salvaguardare ciò che hanno ricevuto, indipendentemente da colui al quale appartenga la res ricevuta11. La mancata restituzione di quanto ricevuto legittima la concessione, da parte del pretore, dell'azione: nisi restituent in eos iudicium dabo.
La parte dei verba edicti appena richiamata condiziona, unitamente al verificarsi degli altri presupposti, il iudicium dabo. A questo dato, che dal tenore delle parole sembra certo12, è invece dubbio se se ne possa aggiungere un altro, cioè quello della presenza di una clausola restitutoria in senso tecnico nella formula dell' actio de recepto e dunque del suo carattere di azione arbitraria13.
Il tratto caratterizzante le azioni che contengono una clausola restitutoria, e che alcune volte nelle fonti sono dette actiones arbitrariae, consiste nel fatto che in esse il giudice, dopo aver valutato la sussistenza del diritto vantato dall'attore (pronuntiatio de iure), non deve subito pronunciare la sentenza, ma innanzitutto ordinare14 al convenuto la restituzione della cosa (iussum de restituendo). Se il convenuto ottempera all'ordine (iussum) viene assolto, in quanto viene meno l'ulteriore condizione per la condanna. Solamente nell'ipotesi in cui il convenuto trascuri questo ordine, segue la condanna al pagamento di una somma di denaro, che in caso di contumacia (cioè di volontaria non restituzione) potrebbe superare di molto il valore dell'oggetto, o comunque essere particolarmente svantaggiosa per il convenuto che non ottempera alla restituzione, perché si baserebbe sul giuramento estimatorio (sullo iusiurandum in litem) dell'attore.
Come è noto, le azioni che contengono una clausola restitutoria acquistano una particolare rilevanza nell'àmbito del processo romano classico, in quanto attraverso di esse si poteva superare la alternatività, altrimenti necessaria, tra assoluzione e condanna pecuniaria15, e soddisfare pienamente l'interesse dell'attore che in taluni casi, come quello del receptum, era volto alla salvaguardia della res e alla sua restituzione.
Quella di considerare l'actio de recepto un'actio arbitraria è una ipotesi che la dottrina16, soprattutto meno recente, ha discusso e in qualche caso accolto17, ma che oggi, per lo più, non viene presa in esame18, e quindi - implicitamente - non ritenuta fondata. Probabilmente, ha pesato sull'affermarsi di questo orientamento la ricostruzione della formula dell' actio de recepto proposta da Rudorff19, da Lenel, in particolare nelle prime due edizioni20 del suo studio sull'editto perpetuo, e più recentemente da Mantovani21, che contiene il richiamo al restituere all'infinito perfetto. Questo uso del tempo verbale implica che la restituzione dovesse essere fatta prima della litis contestatio e quindi escluderebbe una clausola restitutoria operante come condizione negativa della condanna, che infatti in tali ricostruzioni non è presente.
In una riflessione sull'aggravamento della responsabilità dell'exercitor in seguito all'introduzione di 'speciali' rimedi contro i nautae, caupones e stabularii, la presenza o meno nella formula dell'actio de recepto della clausola restitutoria è però a mio avviso interessante, perché se presente, avrebbe determinato che i poteri del giudice fossero più articolati e più ampi che in altre azioni22, eccettuate quelle di buona fede e quelle nelle cui formule, come l' actio de eo quod certo loco23, verosimilmente si menzionava l'arbitrium iudicis; avrebbe permesso al convenuto di avere un margine maggiore, anche temporale, per la restituzione e, allo stesso tempo, avrebbe aumentato la probabilità per l'attore di vedersi restituita la res, anche in considerazione del fatto che la mancata restituzione avrebbe potuto comportare la determinazione, per la condanna, del valore della res sulla base dello iusiurandum in litem (giuramento estimatorio) dell'attore24. Una nuova considerazione della questione, pertanto, non sembra inutile, perché - come vedremo nei §§ successivi - oltre al nisi restituent della clausola edittale, ci sono indizi, presenti in altre fonti (D. 4.9.3.5; Ed. Theod. 119), che potrebbero condurre verso l'inclusione della clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto e perché, se tale ipotesi fosse confermata, il pretore avrebbe potuto voler dotare il rimedio in questione di uno strumento che in una qualche misura bilanciasse l'aggravata responsabilità dei nautae, caupones e stabularii.
B. Il valore della clausola 'nisi restituent e Vinterpretatio prudentium dei verba edicti
Per cercare di chiarire il valore del richiamo alla restituzione nelle parole dell'editto riportate da Ulpiano nel testo tramandato in D. 4.9.1pr., è prezioso il commento dei giuristi a quella clausola edittale, che prevede la responsabilità ex recepto dei nautae caupones e stabularii. I giuristi ne elogiano l'utilità e chiariscono i motivi che spinsero il pretore ad inserirla nell'editto:
Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1.1
Maxima utilitas est huius edicti, quia necesse est plerumque eorum fidem sequi et res custodiae eorum committere. neque quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum: nam est in ipsorum arbitrio, ne quem recipiant, et nisi hoc esse statutum, materia daretur cum furibus adversus eos quos recipiunt coeundi, cum ne nunc quidem abstineant huiusmodi fraudibus.
Ulpiano, nel qualificare di massima utilità la clausola edittale che aveva appena citato (D. 4.9.1pr.), sottolinea che i nautae, caupones e stabularii sono esercenti di attività commerciali di cui - in determinate circostanze - non si possa fare a meno e quindi sia necessario rimettersi alla loro fides e affidare le cose alla loro custodia25. Inoltre, il giurista precisa che non si possa ritenere che la previsione edittale sia troppo severa contro tali imprenditori, perché a loro è data la possibilità di non impegnarsi con qualcuno e perché se il pretore non avesse introdotto una simile previsione, si sarebbe concessa agli armatori, ai locandieri e ai titolari di una stazione di cambio la possibilità di associarsi con i ladri, tanto che commettono frodi nonostante l'introduzione di tale clausola edittale.
La frase neque quisquam putet graviter hoc adversus eos constitutum lascia presumere che qualcuno avesse ritenuto (troppo) severo26 l'intervento del pretore, forse perché introduceva un aggravamento della responsabilità dell'imprenditore rispetto a quella che si sarebbe potuta far valere con le azioni nascenti dai contratti dello ius civile27.
In questa parte iniziale del commento ulpianeo alla clausola edittale, che si concretizza in una laudatio edicti, non vi è alcun esplicito richiamo al ruolo della mancata restitutio, né per giustificare la responsabilità degli esercenti l'attività commerciale, né per argomentare l'infondatezza dell'opinione di chi considera la promessa edittale troppo severa, a differenza delle considerazioni che Ulpiano svolge sulla promessa edittale dell'actio quod metus causa, che è nelle fonti qualificata come un'azione arbitraria28. Un confronto con il commento ulpianeo alla clausola edittale sul metus, mostra che in quest'ultima, invece, il giurista riconosce la "clemenza" del pretore nel dotare l'azione per quanto compiuto a causa di timore, che prevedeva una pena nel quadruplo, di una clausola restitutoria (Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.14.1 [...] satis clementer cum reo praetor egit, ut daret ei restituendi facultatem, si vult poenam evitare29).
Anche nella parte finale del commento ulpianeo alla clausola edittale che prometteva l'actio de recepto, prettamente dedicata ai verba 'nisi restituent, in eos iudicium dabo'30, il giurista - per quanto ci è giunto - non dedica attenzione al valore della restitutio nella fattispecie in esame. Questa assenza, se attribuibile ad Ulpiano, può spiegarsi con il fatto che egli si era già soffermato nel commento ai precedenti titoli edittali (mi riferisco, in particolare, al titolo edittale che prometteva tutela per quanto compiuto metus causa che probabilmente conteneva le parole nisi restituetur31, o per quanto compiuto a causa di dolo32) sul valore della clausola restitutoria e non ritenesse necessario tornarci.
In ogni caso, il tenore delle parole dell'editto mostra chiaramente che la mancata restituzione da parte dei nautae, caupones e stabularii di quanto ricevuto costituisce un presupposto per la concessione dell'azione. In considerazione del modo e del tempo verbale utilizzato (restituent), ci si può però anche chiedere se il pretore, per bilanciare l'aggravata responsabilità connessa a queste attività commerciali, abbia o meno voluto anche preannunciare nella clausola edittale il ricorso alla tecnica processuale che prevede l'inserimento nella formula dell'azione della clausola restitutoria, che avrebbe riconosciuto al giudice un potere discrezionale grazie al quale egli avrebbe potuto incidere nella determinazione della restituzione.
II. La formula dell'actio de recepto e la possibile presenza di una clausola restitutoria
A. Le proposte di ricostruzione della formula
Oltre ai verba della clausola edittale, decisiva per una valutazione complessiva della situazione in cui si sarebbe venuto a trovare l'imprenditore in seguito al receptum è quindi la formula dell'azione de recepto, che purtroppo non ci è tramandata dalle fonti nel suo tenere letterale. Rudorff, Lenel (nelle prime due edizioni) e Mantovani la ricostruiscono in modo pressoché simile.
Rudorff33: Iudex esto. Si paret N um N um (servum, filium, institorem N um N um voluntate eius), cum navem (cauponam, stabulam) exerceret, N i N i [rectius A i A i ] res, quibus de agitur, salvas fore recepisse neque restituisse, quanti ea res erit, tantam pecuniam iudex N um N um A o A o condemna, si n.p.a.
Lenel34: S.p. N m N m , cum navem exerceret, A i A i res q.d.a. salvas fore recepisse neque restituisse, q.e.r.e, t.p, iudex, N m N m A o A o c.s.n.p.a.
Mantovani35: C. Aquilius iudex esto. Si paret N.Negidium cum navem exerceret A.Agerii res quibus de agitur salvas fore recepisse neque restituisse, quanti ea res erit tantam pecuniam C. Aquilius iudex N.Negidium A.Agerio condemnato, si non paret absolvito.
In Lenel però, in seguito ad una più approfondita riflessione sulle actiones arbitrariae36, si insinua il dubbio che il nisi restituent della clausola edittale non permettesse la presenza di un nisi restituisse nella formula dell'actio de recepto, e pertanto egli propone una diversa ricostruzione che tiene conto di queste considerazioni (S.p. N m N m , cum navem exerceret, A i A i res q.d.a. salvas fore recepisse, nisi restituet37, q.e.r.e.38, t.p. iudex N m N m A o A o c.s.n.p.a.), ma che - mi sembra - non scioglie del tutto il nodo della questione della presenza o meno di una clausola restitutoria nella formula dell'azione. Mantovani, probabilmente anche sulla base di tali riflessioni di Lenel, a proposito del neque restituisse presente nella ricostruzione da lui proposta, segnala39 che è possibile anche un'altra formulazione: 'nisi restituef.
B. L'actio de recepto era un'actio arbitraria? Nella sua formula era presente una clausola restitutoria?
1. Le diverse posizioni assunte dalla dottrina
Nelle fonti a noi pervenute sull' actio de recepto non ricorre una sua qualificazione in termini di actio arbitraria. Inoltre, nei commenti dei giuristi alla formula dell'azione non ci sono riflessioni del tutto esplicite che lascino pensare con certezza ad una presenza della clausola restitutoria. Tuttavia, una parte della dottrina ha ritenuto certo che l'actio de recepto avesse una clausola restitutoria e che fosse un'azione arbitraria.
Cuiacio40, nonostante qualche dubbio iniziale (. proculdubio), ritiene che essa, in modo simile all' actio quod metus causa ed alla rei vindicatio, fosse un'azione arbitraria. Più precisamente - osserva Cuiacio - se l'exercitor non avrà restituito arbitrio iudicis la res che gli è stata consegnata affinché la tenesse salva, allora sarà data questa azione (de recepto) per quanto è l'interesse dell'attore che fosse restituita - stimato con il iusiurandum in litem -, in modo analogo a quanto avviene nell' actio de dolo, che è anche un'azione arbitraria. Similmente, per Favre41 l' actio de recepto era un' actio arbitraria, dal momento che la condemnatio sarebbe stata sub ea exceptione si res non restituatur arbitrio iudicis. Inoltre, il ragionamento di Favre sotteso a questa qualificazione ancora una volta conteneva dei richiami e dei rinvii all' actio quod metus causa. Anche Goldschmidt42, nelle ultime pagine del suo più ampio studio sul receptum nautarum, cauponum, stabulariorum, qualifica l'actio de recepto come actio arbitraria, indicando43, a supporto di ciò, i verba edicti 'nisi restituent', la somiglianza con le "imparentate" actione depositi e locati, che però -ritengo si debba aggiungere - non sono actiones arbitariae, ma di buona fede, e un rapido richiamo al cap. 119 dell'Edictum Theoderici. I rilievi di Goldschmidt sono stati criticati da Karlowa44, ma condivisi da Peters45. Per Karlowa nella quasi intentio della formula dell' actio de recepto si sarebbe dovuto indicare, come condizione per la condanna, un salvum fore recepisse da parte del nauta o degli altri imprenditori potenzialmente convenuti e il non restituisse46. La mancata restitutio, quindi, a suo avviso avrebbe costituito una condizione per la condanna47, pur non essendo presente nella formula una clausola restitutoria. Diversamente, invece, per Peters, l'actio de recepto sarebbe stata un'azione arbitraria e il restituere avrebbe costituito lo scopo dell'azione48. Anche Levy, in contributi diversi49, qualifica come arbitraria l'azione in esame, precisando che ciò non sarebbe contraddetto dall'assenza delle parole arbitrio iudicis nella clausola edittale che la prometteva50. Voci51, in occasione di un approfondimento del richiamo all''officium iudicis in Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5, ritiene che l'azione in esame fosse un'azione arbitraria. Pur con una lettura che in alcuni, non marginali, punti si discosta da quella di Levy, anche Chiazzese52 cita l' actio de recepto tra le actiones arbitrariae. Ancora, in questo senso, sulla scia di Voci e a proposito di D. 4.9.3.5 si è espresso Stolfi53.
La dottrina che si è occupata ex professo della ricostruzione delle formulae dei rimedi giurisdizionali, invece, come abbiamo visto, non ha incluso una clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto. Rudorff54 esclude espressamente che l' actio de recepto sia un'azione arbitraria e spiega il nisi restituent della clausola edittale come una condizione per la concessione del iudicium. Anche Lenel non la include, ma, mentre nelle prime due edizioni dello studio sull'editto perpetuo55 ipotizza che nella formula vi fosse un neque restituisse, nella terza edizione, preferisce optare per un nisi restituet56. Mantovani, come Rudorff e il primo Lenel, presume un neque restituisse nell''intentio, benché segnali come possibile la formulazione al nisi restituet57.
2. Le fonti
Oltre al futuro del nisi restituent della clausola edittale riportata da Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.1pr., un indizio della possibile presenza della clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto è contenuto in una parte del commento ulpianeo58 alla formula59 di questa azione:
Ulp. 14 ad ed. D. 4.9.3.5 Novissime videndum, an eiusdem rei nomine et de recepto honoraria actione et furti agendum sit: et Pomponius dubitat: sed magis est, ut vel officio iudicis vel doli exceptione alterutra esse contentus debeat.
Ulpiano, probabilmente subito dopo60 aver ricordato che questa azione - l'actio de recepto -, come afferma Pomponio, è reipersecutoria61 e quindi viene concessa anche contro l'erede e senza limitazioni di tempo, in questo testo prende una precisa posizione sulla questione, ancora una volta già discussa da Pomponio62, del concorso cumulativo dell' actio de recepto con l' actio furti in factum63. In relazione a ciò Ulpiano afferma che è preferibile (sed magis est)64 non ammettere il cumulo delle due azioni65, ma accontentarsi dell'una o dell'altra azione grazie all' officium iudicis o all' exceptio doli.
L'impostazione del testo, per quanto fortemente sospettato di interpolazioni66, non lascia a mio avviso alcun dubbio sul problema in esso discusso. Ulpiano e Pomponio prima di lui si interrogavano sulla possibilità di esercitare o meno cumulativamente contro l'imprenditore l' actio de recepto e l' actio furti in factum. La questione non poteva, invece, riguardare l' actio furti civilis, a meno di ipotizzare che l'exercitor stesso fosse stato l'autore del furto o la sua insolvenza, e così superare il principio ricordato da Ulpiano (D. 47.5.1.4[67]) secondo il quale l'actio furti (civilistica) non sarebbe spettata al dominus rei subreptae, quanto a colui che sopportava il periculum custodiae, ma nel testo non ci sono elementi in tal senso. Invece, che il dubbio, di Pomponio prima e di Ulpiano poi, vertesse sulla possibilità di cumulare l' actio de recepto con l' actio furti in factum, è spiegabile con il fatto che, come aveva ricordato Pomponio e rifacendosi a lui il giurista severiano, actio de recepto rei persecutionem continet. Proprio la finalità reipersecutoria dell'actio de recepto, considerato che invece l' actio furti in factum ha una componente penale, che in linea di principio renderebbe ammissibile il cumulo con un'azione reipersecutoria, potrebbe aver generato il dubbio, probabilmente sciolto da Ulpiano. Solo la riflessione sulla funzione anche risarcitoria dell' actio furti in factum e sulla responsabilità oggettiva che essa sanzionava68 potrebbe infatti aver condotto i giuristi, con qualche iniziale incertezza (come mostra il magis est), ad individuare gli strumenti che avrebbero permesso di evitare il cumulo dell'actio furti in factum con l'actio de recepto: l'officium iudicis e l' exceptio doli.
Il richiamo alì'officium iudicis è stato letto da una parte della dottrina69 come un indice della presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'azione e della sua natura di azione arbitraria70. Questo dato, in realtà, isolatamente considerato non potrebbe costituire una prova della presenza di una clausola restitutoria nell'azione in esame, soprattutto se, con Chiazzese71, si ritiene che arbitrium iudicis e officium iudicis fossero sostanzialmente equivalenti e si tiene conto del fatto che i giuristi si riferiscono all' arbitrium iudicis anche in merito ad azioni sicuramente non contenenti una clausola restitutoria72. Nel caso dell'actio de recepto, però, come vedremo, si deve tenere conto anche di altri elementi che potrebbero permettere di ipotizzare che contenesse una clausola restitutoria73, quindi vale la pena soffermarsi sulla menzione dell''officium iudicis.
Una parte della dottrina, che nel testo in esame ritiene classico il rinvio all'officium iudicis, lo riferisce all'ipotesi in cui, essendo possibile esperire tanto l'actio de recepto quanto l' actio furti, si fosse prima agito con l'azione reipersecutoria74. In questo caso il iudex, nell'àmbito del suo officium, per evitare il cumulo dei due rimedi, avrebbe potuto chiedere all'attore di prestare una cautio de remittendo75 in merito alla non esperibilità da parte sua, agendo in eiusdem rei nomine, anche di un'actio furti76. Nel caso, invece, si fosse agito prima con l'actio furti, se il dominus delle res consegnate avesse successivamente agito anche con l'actio de recepto, sempre secondo la dottrina che ritiene genuino il testo, l'imprenditore convenuto avrebbe potuto chiedere l'inserimento di un' exceptio doli nella formula77.
Questa spiegazione del rinvio all''officium iudicis (e alla connessa cautio de remittendo) è plausibile, soprattutto se, come mi sembra preferibile, si ritiene che i giuristi ragionassero su un possibile concorso tra actio de recepto e actio furti in factum. Se così fosse, l' officium iudicis78 avrebbe tenuto conto di quanto affidato dall'attore al nauta o al locandiere o al titolare della stazione di cambio e di cui l'attore stesso chiedeva la restitutio, ma nello stesso tempo, anche grazie all'intervento dei giuristi (Ulpiano), avrebbe potuto considerare iniquo che l'attore agisse anche con un ulteriore strumento che avesse pure una finalità risarcitoria o quantomeno una penalità affievolita e sanzionasse una responsabilità oggettiva (l' actio furti in factum). Pertanto, il iudex avrebbe chiesto all'attore - che agiva con l' actio de recepto - proprio in virtù del suo officium, di pronunciare una promessa di garanzia di non agire con l'altra azione79(cautio de remittendo dell' actio furti in factum). In questo modo la tutela degli interessi dei clienti, per raggiungere la quale il pretore aveva introdotto una responsabilità aggravata degli exercitores, veniva bilanciata (a livello processuale) con la tutela degli interessi degli esercenti un'attività commerciale, che altrimenti sarebbero potuti risultare soccombenti a due azioni con uno scopo in parte coincidente80.
Nel secondo caso, quello in cui si fosse agito prima con l' actio furti in factum, invece, in base alla spiegazione proposta, il iudex avrebbe potuto evitare la pronuncia di un iussum de restituendo solo grazie ad un' exceptio81, che il giurista non individua in una exceptio rei in iudicium deductae, ma in un' exceptio doli82. La necessità di ricorrere ad un' exceptio, però, mi sembra opportuno precisare, non implica di per sé l'assenza di una clausola restitutoria e di un richiamo all'arbitrium iudicis nella formula dell'actio de recepto83, sulla base del fatto che l' officium iudicis sarebbe stato sufficiente ad evitare il cumulo. Quest'ultima interpretazione mi sembra supportata dalla lettura di Ulp. 11 ad ed. D. 4.2.14.13, in cui Ulpiano, richiamando ancora una volta Pomponio, osserva che colui il quale ha indotto timore - in questo caso si agisce contro l'autore della vis - è tenuto tanto con l' actio quod metus causa quanto con l'azione di dolo, entrambe azioni arbitrarie, e che ciascuna delle due azioni si consuma in seguito all'esercizio dell'altra opponendosi un''exceptio in factum: Eum qui metum fecit et de dolo teneri certum est, et ita Pomponius, et consumi alteram actionem per alteram exceptione in factum opposita.
Non si può, inoltre, neppure del tutto escludere, benché mi sembra meno probabile anche in considerazione dell'appena richiamata comparazione con D. 4.2.14.13, che l' officium iudicis intervenisse nel caso in cui, esercitata per prima l' actio furti in factum, si fosse poi agito anche con l' actio de recepto. In questo caso, la complessiva valutazione in ordine alla restitutio, che sarebbe rientrata nell' arbitrium iudicis menzionato nella clausola restitutoria, avrebbe consentito al iudex di procedere all'assoluzione84, mentre l' exceptio doli sarebbe servita nel caso in cui si fosse prima agito con l'actio de recepto (senza ordine di una cautio de remittendo).
In ogni caso, comunque, la clausola restitutoria, nella quale verosimilmente era menzionato l'arbitrium iudicis, se inserita dal pretore nella formula dell'actio de recepto, avrebbe potuto permettere un bilanciamento degli interessi delle parti coinvolte (aggravamento della responsabilità dell' exercitor - evitare un ingiustificato arricchimento del cliente) e, allo stesso tempo, anche a vantaggio dell'attore che aveva interesse alla restitutio della res, avrebbe potuto estendere ad un momento successivo alla litis contestatio la possibilità del convenuto di restituere e aumentare la 'pressione' ad ottemperare allo iussum de restituendo, grazie alla previsione del iusiurandum in litem per l'ipotesi della contumacia. Da un punto di vista di politica del diritto, l'opportunità, evidentemente discussa dai giuristi, di evitare il cumulo tra actio de recepto e actio furti in factum, si spiega, oltre che con un contenuto anche risarcitorio della condanna a cui questa azione avrebbe potuto condurre, considerando la particolare natura dell' actio furti in factum che sanziona l'imprenditore per una responsabilità oggettiva, che prescinde dunque da un suo comportamento doloso e include una possibile responsabilità per il delictum altrui.
Un'altra fonte che lascia pensare alla presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto è tratta dall'editto di Teoderrico. Siamo quindi all'inizio del vi sec. d.C.85, nell'àmbito di una compilazione con la quale Teoderrico il Grande86 o, forse, un ignoto giurista "desideroso di confezionare un prontuario a uso dei tribunali romano-gotici", aveva raccolto una serie di norme giuridiche romane in uso presso i Goti87:
Edictum Theoderici cap. 119: Si quid de taberna <nave>88vel stabulo perierit, ab his, qui locis talibus praesunt, vel qui in his negotiantur, repetendum est, ita ut praestent sacramenta de conscientia sua suorumque: et si hoc fecerint, nihil cogantur exsolvere, aut certe quantum petitor juraverit se in eo loco perdidisse, restituant.
Nel capitolo 119 si afferma che se qualcosa viene perso in una locanda o in una nave o in una stazione di cambio deve essere recuperato da coloro che sono responsabili di tali luoghi o sono gestori degli stessi, a patto che prestino giuramenti sulla coscienza (buona fede?) loro e dei loro collaboratori89: se avranno fatto così non siano costretti a pagare niente, altrimenti certamente restituiscano quanto l'attore avrà giurato di aver perso in quel luogo.
La natura dell'opera nella quale la disposizione normativa è riportata rende più complesso stabilire se il contenuto di quest'ultima fosse o meno romano e, se romano, riconducibile allo strumento giurisdizionale in esame.
La base giuridica della disposizione, letta nel suo complesso, potrebbe essere individuata nella disciplina romana del receptum e nell' actio de recepto90, ma non solo in ciò91. Infatti, mentre la possibilità di recuperare quanto perso nella locanda, sulla nave o nella stazione di cambio, l'attenzione sulla mancata restitutio di quanto consegnato agli imprenditori terrestri e marittimi richiamati e la stima della condanna sulla base del iusiurandum dell'attore possano essere ricondotti all'actio de recepto, lo stesso non potrebbe dirsi per il riferimento ai sacramenta de coscientia sua suorumque. Per quanto è possibile ricavare dalla lettura delle fonti, nella disciplina processuale romana prevista per la tutela del receptum non si faceva ricorso a tali giuramenti, ma al più ad una cautio. Tali sacramenta, invece, fanno pensare ai giuramenti purgatori92 dei convenuti, più facilmente spiegabili con un'influenza del diritto processuale germanico o comunque del diritto germanico93.
Proprio l'ultima parte del capitolo 119 è stata interpretata da una parte della dottrina94 come un evidente indizio della presenza di uno iusiurandum in litem e dunque di una clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto95. Nelle azioni che prevedevano nella formula una clausola restitutoria, infatti, in caso di mancata restitutio imputabile al convenuto, il giudice avrebbe condannato quest'ultimo al pagamento del valore della cosa non restituita e per la determinazione del quantum si sarebbe avvalso del iusiurandum in litem dell'attore, cioè del giuramento estimatorio sul valore della res, che avrebbe potuto superare il suo reale valore.
Anche in considerazione dello iusiurandum in litem, la presenza o meno della clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto avrebbe potuto incidere sulla complessiva situazione in cui si sarebbe venuto a trovare l'exercitor in caso di mancata restitutio, perché se egli, convenuto in giudizio, non avesse restituito, la condanna avrebbe potuto superare il semplice valore della res.
Conclusioni
Le fonti considerate nei paragrafi precedenti, benché non numerose, non esplicite e, nel caso del cap. 119 dell''Edictum Theoderici, non del tutto rappresentative di un regime romano, contengono elementi spiegabili con la presenza di una clausola restitutoria nella formula dell'actio de recepto o che - diversamente - necessitano di un'altra spiegazione, perché in ogni caso non possono essere ignorati.
Come abbiamo visto, infatti, la promessa edittale (D. 4.9.1pr.) include il requisito, formulato al futuro, della mancata restituzione (nisi restituent); è testimoniata la possibilità di evitare il cumulo dell'actio de recepto con l'actio furti (in factum) grazie all'''officium iudicis' (D. 4.9.3.5); è richiamato lo iusiurandum in litem, al fine di quantificare il quantum della condanna, nel caso di mancata restituzione (Ed. Theod. 119). Si tratta di indizi che, considerati complessivamente, rendono plausibile l'ipotesi che nella formula dell'actio de recepto vi fosse una clausola restitutoria, anche se - si deve pure osservare - essa non è richiamata dai giuristi in luoghi e contesti in cui gli sarebbe stato funzionale, come ad esempio laddove Ulpiano spiegava come la promessa dell'actio de recepto non dovesse essere considerata troppo dura per gli imprenditori.
Non si può, quindi, escludere che il pretore, proprio al fine di assicurare una maggiore efficacia alla tutela del receptum, avesse dotato la formula dell'azione di una clausola restitutoria, che avrebbe permesso al giudice di iubere, nella fase del processo che era sotto il suo controllo, la restitutio, e allo stesso tempo, grazie al richiamo all' offcium iudicis, come suggerisce Ulpiano, di tenere conto, escludendola, della possibilità di cumulare l'actio de recepto con un''actio furti in factum o, possiamo aggiungere, con un'actio damni in factum. Infatti, da un lato la clausola restitutoria avrebbe conferito al giudice il potere di iubere la restitutio dopo la litis contestatio e di avvalersi del giuramento estimatorio dell'attore per determinare l'ammontare della condanna in caso di mancata restituzione (aggravando così la posizione dell'imprenditore che non avesse restituito), ma allo stesso tempo, come abbiamo visto nella discussione di Pomponio e Ulpiano sul cumulo delle azioni, grazie all''officium iudicis, avrebbe potuto permettere di bilanciare gli interessi dei clienti con quelli degli esercenti un'attività commerciale, che altrimenti sarebbero potuti risultare soccombenti a due azioni con uno scopo (almeno in parte) coincidente, e che sanzionavano una responsabilità oggettiva.
Pur ipotizzando con cautela la presenza di una clausola restitutoria nella formula dell' actio de recepto, alla luce delle fonti considerate nelle pagine precedenti, mi sembra che in ogni caso risulti confermato l'obiettivo principale perseguito dal pretore con la promessa edittale ricordata da Ulpiano nel testo riportato in D. 4.9.1pr.: quello di contrastare le occasioni di mancata restituzione da parte degli imprenditori marittimi e terrestri delle res ricevute dai clienti, superando il criterio della responsabilità soggettiva.